lunedì 15 gennaio 2018

[Intervista] giuliettaStA

Oddio, che stanza! Io scelgo la poltrona blu, quella a destra... oh, no ti prego, non badare ai miei modi... prendi posto dove vuoi e mettiti comoda! 

Ma, cara MiaRomi, come potrei non badare ai tuoi modi? Dicono così tanto del carattere di una persona! Mi accomodo sulla poltrona blu a sinistra e se ci fosse del tè sarebbe perfetto: anche se, di certo, come al mio solito non ne berrei che metà, tutta la scena ne gioverebbe, non trovi?

Che tè sia! Ne prendo una tazza anche io.
Questa stanza va vissuta di getto.
Ho davvero voglia di perdermi in questo interessante e curioso tete a tete.
Fammi un cenno e partiamo con le domande!
Iniziamo, non vedo l'ora!

1) Eccoci nella Boho Chic Room. Quale scintilla è scattata, in riferimento alla foto dell'ambiente che hai scelto? E se dovessi rifarti alla descrizione che ne hai letto, in cosa precisamente sapresti rispecchiare la tua personalità?

Inizio col dirti che proprio queste due poltrone su cui siamo accomodate, insieme al tavolino pieno di foto e ricordi qui al nostro fianco, hanno letteralmente calamitato la mia attenzione appena vi ho posato gli occhi.
Nel mio personalissimo immaginario, alle parole "Intervista a una scrittrice" si associa l'immagine di una signora con soffici, candidi boccoli e un paio d'occhiali sul naso. Indossa pantaloni di lino chiaro e accavalla le gambe bevendo il tè (ora comprendi la mia richiesta?), accomodata in una stanza tipicamente inglese, e disquisisce con fare confidenziale della sua opera. Ora: io non sono inglese, non ho l'età per avere soffici capelli bianchi e men che meno sono una scrittrice. Cosa mi rimane? La stanza.
Per quanto riguarda la mia personalità, invece, nella descrizione sono state diverse le parole in cui mi sono ritrovata.
Ironia. Non posso farne a meno, è il prezzemolino di quasi tutti i miei dialoghi: sottile e impalpabile, ci condisco ogni situazione e chi non mi conosce bene spesso ci casca con entrambi i piedi.
Stravaganza: non a livello estetico quanto più caratteriale. Mi hanno detto spesso "Sei strana" o "Sei diversa": e da quando è un difetto? Me l'hanno detto perché leggo praticamente di tutto e ascolto qualunque tipo di musica (tranne il neomelodico, mi spiace, Gigi) e lì subito a dire "non è possibile che ti piacciano tutte queste cose, se ascolti Reggaeton non puoi apprezzare la musica classica"; me l'hanno detto perché amo uscire a fare shopping con le amiche, ma amo anche chiudermi a casa a giocare a World of Warcraft (anche se l'ho abbandonato quando ho capito che era inconciliabile con l'università, addio mia adorata Horda); me l'hanno detto perché ho scelto una facoltà impegnativa e pesante, ma non ho mai rinunciato (negli anni d'oro, che ora a quasi 27 anni mi sento vecchia) ad andare a fare l'alba e svegliarmi sfranta il pomeriggio dopo.
Insomma, sono una contraddizione vivente, secondo la gente, e quindi strana.
Ma ti svelo un segreto: secondo me sono solo una a cui piace fare un sacco di cose. E a questo si ricollega un'altra parola che di questa stanza mi ha colpito: poliedrica.

2) Qual è il tuo più grande talento?

Fare il camaleonte.
'Nchessenso? Mi adatto a ogni situazione, non faccio mai problemi, do pochissimo fastidio e dove mi metti sto. Mi va bene tutto, sono sempre quella che "Dai, decidi tu, ché per me è uguale."
(E a volte è anche il mio più grande difetto, spesso mi mettono i piedi in testa e a me va comunque bene per il "quieto vivere", "non ne vale la pena discutere", "giuro che io mi adatto". Finchè poi non mi girano gli zebedei, s'intende. Poche, ma intense, volte, e a quel punto meglio sparire.)

3) Quella che hai scritto è anche la tua migliore opera che abbia mai letto?

Uh mamma, assolutamente no! Né su Wattpad, né fuori da qui. Ti dirò: sono una persona estremamente realista e sono consapevole di riuscire a infilare parole una dietro l'altra con una grammatica e sintassi abbastanza decente, ma da qui al pensare che sia la migliore opera letta ci passa l'oceano Atlantico! Sono anche una persona molto critica, soprattutto con me stessa, ed eternamente insoddisfatta. Spesso leggo e rileggo quello che scrivo e cerco di capire se possa suscitare lo stesso brivido che io provo quando cerco di tradurre le emozioni in parole o che le parole altrui suscitano in me.
E 99 volte su 100 non mi piace, mi sembra imperfetto.

4) Se il protagonista della tua opera potesse cambiare un passaggio della storia che sta vivendo, quale sceglierebbe e perché? 
Questa è una domanda difficile e spinosa e come tale ha una risposta altrettanto difficile. Perché Beatrice, nel 2017, si chiede se sarebbe stato meglio non incontrarlo proprio, Andrea, e cambiare questo primo, essenziale passaggio. Ne consegue che questa mia storia non avrebbe nemmeno senso d'essere, altro che pezzo mancante. Però... a volte Bea si ravvede, pensa che "è stato meglio lasciarci (o soffrire) che non esserci mai incontrati" (cit.) e quindi posso impegnarmi a trovare un altro passaggio.
Se Beatrice potesse, per gli eventi fino al momento della narrazione accaduti, cambierebbe la relazione con Carlo. Potendo tornare indietro non gli darebbe assolutamente una possibilità sapendo che l'ha fatto solo soffrire inutilmente, anche se le sue intenzioni erano ottime, in fondo lei ci ha solo provato. O almeno vorrebbe aver avuto, a posteriori, il coraggio di parlargli e spiegare perché non è andata bene tra loro due.

5) Quale prezzo ha la strada della scrittura?

Ne ha due, fondamentali, secondo me.
Il tempo. Te lo mangia, letteralmente. Devi poterti concedere il tempo di metterti lì di fronte al foglio bianco a non sapere che diavolo dire e a farti venire l'ispirazione, di poter annotare ovunque idee fulminee, di poter leggere e rileggere finché il tutto non si avvicina a quello che vuoi esprimere e soprattutto devi concederti il tempo di interagire con chi ti legge, perché se uno scrive e pubblica è per essere letto e sapere che pensano gli altri delle sue parole. Trovo, quindi, estremamente egoistico "rubare" il parere di qualcuno che ha speso qualche attimo della sua vita a commentare qualcosa di tuo, senza poi trovare tempo e modo di rispondergli, fosse anche solo per dire "grazie".
Con questo non dico che si deve essere perennemente attivi, 24/7, anch'io lavoro, un fidanzato e amici, problemi e imprevisti e una vita fuori da qui. Dico che si deve essere solo consapevoli di dover sacrificare un po' del proprio tempo libero.
Le critiche. Il gioco prevede complimenti, ma anche critiche, che quando sono costruttive e poste con garbo vanno accettate. TUTTE. Anche se tu hai speso una notte su un concetto che ti sembra da premio nobel e qualcuno ti dice che va rivisto perché non ci capisce un'acca. Anche se tu sei convinta di aver fatto un lavoro impeccabile a livello di grammatica e sintassi e qualcuno dice, magari senza nemmeno indicarti dove e come, che trova il tuo scritto imperfetto. E anche quando le critiche non sono costruttive o vengono poste con arroganza, tu devi controbattere con garbo, sempre, altrimenti a passare dalla parte del torto sei tu. E bisogna anche accettare che a qualcuno faccia schifo quello che scrivi: il mondo è bello perché è vario. Non si possono incontrare i gusti di chiunque.
Andare avanti e cercare di migliorarsi, sempre, comunque. Non farsi abbattere da un parere negativo, mai.

6) Se potessi leggere negli occhi dei tuoi lettori, cosa pensi di aver lasciato loro attraverso la tua opera? Saresti lettore di te stesso?

Ecco, come ti ho detto prima io mi leggo molto, sono e sarei sempre lettrice di me stessa, perché in primis, quando scrivo, cerco di accontentare me. Ritengo che solo se ci si trova a proprio agio con le parole che si scrivono, allora ci si può permettere di giocarci e cercare di renderle al pubblico. Sono sempre stata quella che "quest'argomento mi fa schifo", lo studiavo male e nonostante tutto l'impegno prendevo un voto basso. Non vorremo mica replicare? Menomale che, come dicevo prima, mi piace leggere di tutto ;)
Per quanto riguarda la prima parte della domanda, provo a risponderti con quello che i miei lettori mi hanno detto.
Li ho fatti piangere. Li ho fatti ridere. Li ho fatti ricordare con nostalgia tempi passati e ho fatto provare loro altrettanta nostalgia per momenti mai vissuti e città mai visitate.
Li ho portati e li sto tutt'ora portando, forse, spero, a passeggiare come equilibristi su quella linea sottilissima tesa tra il giusto e lo sbagliato, in modo che quando arriveranno i patatracks (il termine onomatopeico rende un sacco!) potranno incazzarsi, rallegrarsi, lottare con le loro stesse emozioni e capire insieme a me e Bea e Andrea se, in loro, vince cuore o cervello.
Cosa credo di aver lasciato loro, dunque, cosa credo di leggere nei loro occhi?
Emozioni.
Pure, schiette, vive, vibranti, travolgenti, semplici emozioni.

7) Hai mai provato una sensazione di vuoto profondo al termine della lettura di un romanzo? Se sì, sai definirla? Se no, la domanda è questa: credi di essere una persona empatica?

Se l'ho provata? Ci vado a nozze!
Sono sempre stata una che ha pianto. Tanto. O per nervoso e per sfogare la rabbia o per intenso dolore e fin da piccola ho sempre versato lacrime e singhiozzi quando avevo a che fare con la morte in qualche storia, fosse anche quella del drago di un cartone animato visto a 24 anni. (Sì, tratto da una storia vera.)
Ora: il guaio è che ho di recente iniziato a piangere per qualsiasi emozione troppo forte (il dolore del lutto è sempre il primo della lista, però), anche, per dire, per la commozione dovuta ai successi che il personaggio X raggiunge dopo mille asperità.
E i libri hanno il simpatico "difetto" di essere intrisi di emozione.
Qualunque libro io abbia letto e mi abbia coinvolto a tal punto da farmi piegare letteralmente in due per le emozioni provate mi ha lasciato un denso vuoto dentro, quando finito, da cui mi sono ripresa dopo giorni. Esempio random, il primo che mi viene in mente (leggo troppo per avere sotto mano l'Esempio principe, quello con la E maiuscola, e devo per forza pescare a caso nel viale dei ricordi): Allegiant, l'ultimo libro della saga di Divergent. Ho finito di leggerlo alle 6.30 di una fredda mattina d'inverno, dopo una notte passata in bianco illuminata dalla lampadina del comodino, tra le lacrime. Non sono andata a lezione per recuperare sonno e mi sono svegliata verso mezzogiorno, piangendo. Ho cucinato il pranzo soffrendo come una dannata e non parlando con nessuna delle mie coinquiline e quella sera non sono uscita per poter vedere il primo film della saga, al fine di cercare qualcosa che ancora mi legasse al libro, non capacitandomi del fatto che fosse davvero finito.
Sviluppo una forma di ossessione maniacale per questo tipo di storie: continuo a riaprirle, quando sono alle ultime pagine leggo piano perché non voglio che finiscano, poi le fagocito senza nemmeno rendermene conto e la fine arriva presto e mi insulto. Rifiuto persino di leggere altro per un po', tanto trovo pieno di quella storia il vuoto che questa mi ha lasciato. È un po' lo stesso tipo di paradosso delle ingombranti presenze costituite dalle assenze.
Mi nego persino la lettura del seguito di una storia, a volte, se il dolore che questa mi ha lasciato addosso è troppo profondo, perchè non riesco ad accettare che le cose possano continuare e andare avanti se io sono ferma lì. Altro esempio random: Io prima di te. Non ho mai letto il seguito e mai credo lo leggerò. Mi rifiuto categoricamente.
Non so se ho girato attorno alla domanda, ma credo di non saperci rispondere meglio se non attraverso il mio stesso vissuto.

8) Attraverso quale canale è più facile trasmettere emozioni? Perché?

Libri, musica e film (ma non quelli fatti sulle trame dei libri, ché studi scientifici confermano che nel 99,9% dei casi sono una delusione più grande di quando compri le brioches al supermercato e non sono mai piene di cioccolato come nella foto. I film della saga di Divergent non si discostano da questa definizione, il film tratto da Io prima di te, invece, è una mosca bianca: meraviglioso.) Questo perchè trovo che siano le parole, in qualunque loro forma, il mezzo attraverso cui maggiormente si possano trasmettere le emozioni, dato il loro grande potere: l'immedesimazione. Riusciamo a provare qualcosa perchè riusciamo a sentirlo questo stesso qualcosa, dentro, che ci fa calare nei panni di qualcuno e appiccicarci sulla pelle le sue stesse emozioni. Come attori che si calano nella parte, per un momento quelle parole sono le nostre stesse parole. E a volte, piuttosto frequentemente tutto sommato, capita che quel cantante/scrittore/regista descriva proprio quello che abbiamo realmente già provato in un determinato momento. E lì non possiamo fare altro che riconoscerci e aprirci a questa meravigliosa, dolce/amara, sensazione.

9) Se potessi scegliere un superpotere che però non può essere usato su te stesso, quale sceglieresti e perché?

Questa è facile: mi piacerebbe poter sbirciare nella vita della gente come se fosse un film (può essere considerato un superpotere?)
Ne sono affascinata sin da piccola. Incontro qualcuno in treno o in autobus, al supermercato, in ospedale e mi chiedo chi sia, di cosa si occupi, se faccia una vita felice, se abiti in condominio, se abbia animali. Vorrei osservare le persone che mi colpiscono (possono essere di qualunque età, sesso, religione) nelle loro giornate tipo, il più delle volte perché mi chiedo se quello che dimostrano all'esterno e l'idea che ci si può fare di loro a prima occhiata corrisponda davvero a quello che in realtà sono.
Penso sia strettamente correlato con la mia voglia di scrivere, perché spesso è proprio immaginando la vita di queste persone che mi fluiscono le storie dalle mani.

10) Ultima domanda. Se il sindaco di una grande città europea ti desse la possibilità di incidere una targa ai piedi di un monumento importante, cosa vorresti ci fosse impresso?

Domanda a dir poco particolare. Uhm... Mi ricollego un po' alla risposta di prima.
Il fatto è che io sono proprio così: curiosa, avida di informazioni, soprattutto quando riguardano mitologia e narrativa storica greca e romana, ma anche cinese, giapponese, indiana, russa, solo per citarne alcune. Ho letto decine e decine di fiabe, miti e leggende di queste culture, erano le mie favole preferite da bambina e lo sono tutt'ora adesso.
Adoro visitare siti archeologici o di importanza storica (case, chiese, tutto) e pagherei oro per poterci frugare dentro. Amo soprattutto i posti un po' scuri, che ai tempi erano qualcosa di vivo, in cui ti muovi a piccoli passi con riverenza e con quella sensazione sulla pelle mista tra il sacro e il profano, ché ti sembra di star quasi violando qualcosa di prezioso. Di recente ho visitato le catacombe di Priscilla e...wow. Ma sto divagando :D
Amo leggere la storia di tutti i monumenti, chiese, edifici che incontro per la mia strada, appena trovo due righe scritte blocco tutti e mi ci fiondo, quindi se potessi incidere una targa ai piedi di un monumento importante, me la immaginerei così: "Qui trascorse il suo tempo Tal dei Tali, nato nel milleduecentocredici e noto per ..." . O anche "A questo luogo si intreccia la leggenda di Caio Sempronio, secondo cui...", "Dedicato a Tizio, noto per aver...", etc. La sua storia, insomma.
Spero di essere riuscita a spiegare che intendo!

Sei davvero una bella persona, Giulietta.
Grazie infinite per il tuo tempo.

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