venerdì 25 settembre 2015

Cafè Littéraire egoiste

Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita
-William Shackespeare-

Ho immaginato a lungo come sarebbe stato questo incontro. In fondo sono passati due mesi dall'ultimo appuntamento e il Cafè Littéraire riapre oggi i battenti accogliendo l'autunno ormai cominciato da qualche giorno.
Fuori il sole è ancora alto, ma ammetto che qualche nuvoletta all'orizzonte preannuncia pioggia. Nulla che però possa rovinare ciò che ho in serbo per la mia adorata omonima.
Lei possiede una qualità. Una piccola ampolla, dalla quale è possibile tirar fuori i desideri più ingenui, magari quelli più ricercati, così come quelli bizzarri. Lei regala sogni e lo fa con le mani... le mani e i colori. Attraverso quegli occhi curiosi e intelligenti il mondo acquisisce costrutto e intenzione, passa attraverso il cuore per raccogliere le sfumature d'emozione più belle e poi punta alle dita per venir fuori in decisi ma delicati tratti dalle connotazioni fanciullesche. Vere e fanciullesche.
Aspetto LaRobi incrociando le gambe sull'enorme divano color crema e pregustando già il frammento da me tanto amato che le leggerò. L'autrice dello stesso è una donna che non ha mancato nell'ultimo mese e mezzo, di regalarmi sensazioni inimmaginabili. Mi ha portato in alto incantandomi con sublimi storie d'amore, quindi giù nel profondo del mio essere invitandomi a proseguire la lettura. Quindi ha imbrigliato la mia mente ed il mio cuore costringendoli a sopportare atroci sofferenze e dettando di fatto l'umore che avrei vestito quel giorno.
Il merito di questo romanzo, dal quale traggo poche righe, è stato quello di convincermi che le tradizioni, i mondi, le persone, le infinite declinazioni della mente umana sono invalicabili. Ma la curiosità deve necessariamente avere la meglio sui tentativi e prevalere vincitrice.
Per il Cafè di oggi abbino l'inizio di tutto, il luogo dove comincia l'avventura fantastica della giovane Claire ad una donna inconsapevolmente così simile ad uno scrittore. La mia omonima è talmente brava a riportare su carta la vita quotidiana, che non si rende conto di quanto bella sia la storia che con i suoi disegni inventa. Che questo post possa diventarne bandiera, allora!
Vi lascio alla lettura di un pezzo tratto da Outlander - La straniera, primo fortunato capitolo di una saga ancora in divenire della bravissima Diana Gabaldon.
Voi però non perdete l'accostamento culinario di questo appuntamento su Le chat egoiste!!!


<<Che cosa c'è lassù?>> domandai, sbocconcellando un panino al prosciutto. <<Sembra un po' difficile da raggiungere, come posto per i picnic.>>
<<Cosa, quello?>> Mr. Crook gettò un'occhiata alla collinetta. <<E' Craigh na Dun, figliola. Volevo mostrargliela dopo mangiato.>>
<<Davvero? E ha qualcosa di speciale?>>
<<Oh, aye>>, rispose lui, senza darmi ulteriori spiegazioni, aggiungendo semplicemente che me ne sarei resa conto vedendola.
Nutrivo dubbi circa la sua capacità di arrampicarsi su per un sentiero così impervio, dubbi che tuttavia svanirono quando mi ritrovai ad arrancargli dietro ansimando. Alla fine Mr. Crook mi tese la mano nodosa e mi aiutò a superare l'ultimo ostacolo.
<<Ecco qua.>> Agitò la mano con un gesto da proprietario.
<<Accidenti, sembra proprio una Stonehenge in miniatura!>> esclamai incantata.

In realtà erano quasi le undici, quando raggiunsi il cerchio di pietre il mattino dopo. Piovigginava e io ero bagnata fradicia, non avendo pensato a portarmi dietro un impermeabile. [...]
La pietra più alta del cerchio aveva al centro una spaccatura verticale che la divideva in due massicci pezzi, i quali erano stranamente stati scostati in qualche modo. Benché evidentemente combaciassero, le due superfici erano separate da un interstizio di quasi un metro.
Udii un profondo ronzio proveniente da un punto lì vicino. Pensando che forse c'era un alveare in qualche fenditura della roccia, appoggiai la mano alla pietra per guardare meglio.
La pietra urlò.
Indietreggiai di scatto, così in fretta che inciampai in una zolla erbosa e caddi a terra sbattendo il sedere. Fissai il macigno, in un bagno di sudore.
Non avevo mai udito un suono simile provenire da una creatura vivente. Non so descriverlo, se non dicendo che è il genere di suono che uno si aspetta da una pietra. Fu orribile.
Scossi la testa con violenza come per schiarirmi la mente, ma i suoni continuarono. Mi tirai su e barcollai verso il bordo del cerchio. Ora ero circondata dai rumori, che mi facevano girare la testa dolorante. Mi si annebbiò la vista.
Ora non so più se mi diressi volontariamente verso la fenditura della pietra principale o se mi ci trovai per caso, come una cieca che brancoli nella nebbia. [...]
Diciamo che era come se girassi vorticosamente su me stessa, o se venissi rovesciata come un guanto: tutte le sensazioni che provai benché non descrivano appieno il senso di devastazione che sentii, quasi venissi violentemente sbattuta contro qualcosa che non c'era.
La verità è che niente si muoveva, niente cambiava, e a quanto pare non succedeva assolutamente niente, eppure fui invasa da un terrore così puro che persi completamente la cognizione di chi, di che cosa o di dove io fossi. Ero nel bel mezzo del caos, e nessuna forza della mente o del corpo mi sarebbe servita a contrastarlo.

Diana Gabaldon, Outlander - La straniera, pagg. 32-33 e pagg. 54-55