lunedì 23 aprile 2018

[Valutazione] Incedere dissestato verso la distopia. - EmperorOfDisaster

 

Nome della raccolta: Incedere dissestato verso la distopia.
Autore: EmperorOfDisaster
Genere:
Poesia
Valutazione: Siamo l'Arte all'alba del suicidio.
Lettura: intera raccolta
Punteggio: 85/100 

1) GRAMMATICA 10/10
Gli errori costituiranno dei semplicissimi centesimi. Dieci errori equivarranno a -1 punto, venti a -2 e così via. Una volta ottenuto il risultato, esso sarà arrotondato per eccesso e sottratto al punteggio pieno di 10.

CommentoIn "Siamo l'Arte all'alba del suicidio." non sono state rilevate sbavature da un punto di vista strettamente ortografico o sintattico.

Punteggio
Ortografia = - 0 punti
 
- Ortografia (errori evidenziati in numero)
Nessuna annotazione da fare.

- Sintassi (segnalazioni evidenziate in numero)
Nessuna annotazione da fare.

2) STRUTTURA FORMALE 27/30
Per ogni gruppo, verrà assegnato un punteggio in decimi, spiegato all'interno della valutazione. La somma del punteggio di ogni gruppo corrisponderà al voto finale per questo parametro. 

- Grafica 9/10Vezzo grafico vuole che a partire anche solo dal titolo il lettore sia introdotto all'estremamente visibile grado di determinazione espresso da questa poesia. Il punto fermo, a definizione completa, chiusa, finita del titolo dell'opera (così come di ogni altra appartenente all'intera raccolta), dichiara uno stato di concretezza, tangibilità, realtà. L'effettiva constatazione che ciò che si sta per dipanare non è altro che cruda verità.
Il punto fermo enuncia con fermezza, afferma con autenticità, chiude a ogni altra opinabile interpretazione, seppur per definizione una poesia è proprio questo: nient'altro che interpretazione.
Venendo al testo, esso è espresso in corsivo (medesima considerazione vale per tutte le poesie appartenenti a questa raccolta). Il corsivo per definizione evidenzia, mette in luce, mette in risalto un concetto all'occhio del lettore che, preso dalla foga di apprendere, spesso si sofferma proprio sulle parole o frasi invariabilmente marcate dal corsivo, che diviene una pausa, una riflessione nel testo.
Il corsivo –adoperato come un questo caso in ogni opera –annulla se stesso; nell'atto stesso di presenziare ovunque cancella il suo immenso potere di rendere unico ciò che tocca.
D'altro canto la grafica del sonetto è  pienamente rispettata: due quartine in rima incrociata e due terzine, queste ultime non mantengono una rima alternata, in luogo di un penultimo verso avulso da tutto il resto. Gli endacasillabi sembrano essere perfettamente rispettati per tutti i quattordici versi,  anche se nel primo la presenza di una dieresi suddivide un dittongo allungando il verso di una sillaba, trasformandolo in dodecasillabo (si veda meglio nel parametro Fonica).*
 
- Fonica 9/10La metrica, come anticipato in precedenza, è precisa fino a un certo punto, presentando nelle prime due quartine rime incrociate ABBA ABBA, mentre nelle due terzine vine rispettata la rima alternata solo fino al primo verso della seconda terzina (CDC DED). È a partire dalla parola "tragedia" che il testo modifica la sua rotta, non solo da un punto di vista metrico (auditivo), ma anche da un punto di vista strettamente semantico. E posso supporre che tale artifizio sia voluto, poiché se fino al penultimo verso c'era stata constatazione di realtà, l'ultimo distrugge paradossalmente regalando uno squarcio luminoso di speranza (ma si vedrà meglio nel parametro Significato).
Avrei dovuto aggiungere nel parametro grafica anche dell'uso nel primo verso del segno diacritico della dieresi sulla "i" di "storpia", ma ritrovandoci in metrica ho ritenuto meglio affrontarlo in quest'ultimo.
Non ho colto la volontà della dieresi, dato che essa va a rendere il primo verso un dodecasillabo, anziché un endecasillabo come sarebbe naturalmente in mancanza del simbolo grafico.

Oh,| tra|ge|dia| stor|pï|a,| que|sto| io| so|no:| 

Dodici sillabe che vanno a introdurre quindi una tipologia non convenzionale di sonetto.* Sonetto che è stato modificato metricamente all'inizio in una "stonatura" che potrebbe ralmente spiazzare il lettore, e che al suo termine – nell'ultima terzina – stona in quanto a rima, non mantenendo quella alternata promessa.
Cosa ci viene comunicato attraverso tali vezzi?
A mio parere, di soffermarci sulle due parole da cui originano le sbavature, cioè "storpia" e "tragedia". 

*Correzione apportata dall'autore
Dopo un breve conversare con l'autore si è venuti a patti con il primo verso, il quale adesso, nella sua versione definitiva, si presenta in endecasillabo e con dieresi sul primo dittongo in "tragedia" ed eliminazione del primissimo pronome personale "io".

Oh,| tra|ge|dï|a| stor|pia,| que|sto| so|no:| 

Ecco che tutto diviene concretamente d'effetto. L'unica parola che ora porta segno di dieresi e che quindi "regala" una sillaba al verso intero è la stessa che nell'ultima terzina priva il sonetto della sua rima alternata.
Trovo quest'ultimo gioco metrico estremamente significativo.

- Significato 9/10Cercherò di addentrarmi in quest'opera con la cautela che essa richiede. Non c'è un significato superficiale che possa –anche solo dopo la prima lettura –colmare la sete di sapere che il lettore possiede in quanto tale. Bisogna leggere, rileggere, cogliere i primi dettagli, quindi affondare tattilmente all'interno di ogni parola e cercare i motivi di quella sua specifica presenza, quindi mai restare appagati, ma perseverare nella ricerca; approfondire come metafora dell'andare fisicamente in profondità (sporcarsi) di un senso che non ci è rivelato se non all'ultimo verso. Ma vediamone il dettaglio.

Oh, tragedïa storpia, questo sono:
un cielo con gli addobbi crollati,
edera lassa su cuori smorzati,
notte insonne incinta d'un tuono.

La prima quartina introduce immediatamente una connotazione personale, una definizione autovalutativa: questo sono, tragedia storpia.
A onor del vero –a una prima lettura dell'opera e poiché posizionato in un inciso seguito da interiezione (che per quanto non vocativa ne ricordava il senso)– nonostante la mancante maiuscola a delineare un riferimento alla "tragedia" quale arte, questo esaminatore aveva inteso che l'autore si stesse invece riferendo proprio alla "Dea Tragedia storpia", una dea attuale, moderna; colei che con mani velenose deturpa tutto ciò che abbraccia: inarrestabile e mortifera come la "catarsi" cui appartiene l'intera silloge.
Tornando al testo, e cercando di evitare lungaggini, l'idea diffusa nell'intera prima quartina è di una descrizione quantomai pessimista di un'essenza ancora attiva.
Il verbo "crollare" regala un forte senso di perpetuo divenire (un cielo con gli addobbi crollati), per quanto l'uso del participio passato dia percezione di definitivo accadimento del fatto; così come l'inserimento del termine "cuore" – per definizione in movimento – avvinto da una pianta che per natura abbraccia e si muove per farlo (edera lassa su cuori smorzati). Anche in quest'ultimo caso la volontà è molto chiara: il senso di abbandono è molto forte e ricalca le feroci melodie adoperate nell'intero sonetto. Ciò che strugge di più, però, è ancora il senso semantico accordato a ogni parola, proprio perché nell'ultimo verso della prima quartina (notte insonne incinta d'un tuono) è lampante più che mai la prepotente forza che (dentro solamente) divampa, distrugge, rimbomba, ma non sfoga. Mai.
Da sottolineare la bellezza dell'accostamento dei termini "notte" e "insonne", quasi commovente nel senso che gli si è dato: un ossimoro per l'uso che se ne è fatto.

Orgia poetica, questo io sono:
riverbero di tocchi denudati,
spacco mendace su mondi armati,
delirio che rimbomba nel frastuono.

La seconda quartina, nonostante seguiti a informarci, investe maggiormente i sensi. Confonde sensazioni tattili con auditive e visive, descrivendo ancora una volta e con risolutezza la realtà dell'essere. Tramite l'uso di termini specifici, ho però notato un'intenzione sottesa... una specie di "elogio alla impotenza", quasi una presa di coscienza che nulla è possibile agire affinché lo stato delle cose venga modificato alla sua base. 

Noi, sfinteri sconfitti, questo siamo:
memorie dense di liberticidio,
miseria sporca su un debole ramo,

note danzanti in uno stillicidio
di vizi che si empiono di tragedia.
Siamo l'Arte all'alba del suicidio.

E infatti, quale constatazione di una sconfitta, ecco la prima terzina a introdurci definizione di ciò che invece tutti siamo: null'altro che mancanza di controllo. Non siamo che incapaci ombre impossibilitate a mutare anche solo di un granello quella che è la realtà.
Conclude il sonetto il verso adoperato quale titolo dell'opera: "Siamo l'Arte all'alba del suicidio" è l'ultimo spiraglio, la scelta. Essere Arte significa ritenersi capaci di mutuare dal mondo l'immagine ch'esso ci mette a disposizione e renderla migliore, peggiore, semplicemente diversa. Capire appieno che divenire Arte solo in una specifica occorenza (all'alba del suicidio), quando cioè sta per iniziare la propria volontaria autodistruzione, pone sotto nuova luce ciò che fin quasi alla fine si è descritto: essere Arte non è divenire Arte, ma consapevolmente sapere di esistere in quanto chiave di distruzione e creazione. Da sempre.

3) CONTENUTO 25/30
Per ogni gruppo, verrà assegnato un punteggio in decimi, spiegato all'interno della valutazione. La somma del punteggio di ogni gruppo corrisponderà al voto finale per questo parametro. 

- Chiarezza del messaggio 7/10
Quando mi è stata presentata quest'opera, l'autore ha definito la sua "Siamo l'Arte all'alba del suicidio." come un sonetto stentato.
Mi sono domandata il motivo di una tale definizione, chiedendomi se io stessa non fossi talmente ignorante da non conoscere la tipologia del "sonetto stentato"; per quanto abbia cercato, non sono stata in grado di darmi risposta: è probabile che attraverso tale appellativo l'autore non volesse far altro che seguitare a raccontarsi. E così, letteralmente attratta dalla curisità di conoscerne, mi sono inoltrata nella lettura dell'opera e basta, lasciando sempre indietro quell'aggettivo quasi fosse una piccola nuvoletta a inseguire ogni passo, di endecasillabo in endecasillabo.
Al termine dello studio ho potuto personalmente appurare che, per quanto il termine "stentato" possa avere significato di "che rivela lo sforzo, che manca di immediatezza e scorrevolezza o anche di spontaneità e originalità, quindi, sforzato, non naturale, non spontaneo" oppure "di malavoglia, con risultati non soddisfacenti" e anche "pieno di stenti, di privazioni, di sofferenze", ho ritenuto più opportuno darvi una connotazione più simile a "guadagnato, ottenuto a costo di grandi fatiche e difficoltà". Connotazione tendenzialmente attiva – agita, cioè, da colui che ha creato l'opera – in luogo di un prodotto, invece, subìto passivamente o di cui si è scritto perché così doveva essere. Non c'è fatalità in questo messaggio, e per quanto criptico esso rivela la volontà dell'autore di mostrare una condizione reale attraverso la migliore arma che ha in suo potere: la penna. E non si tratta di una denuncia, la sua, ma di una constatazione. Questa opera non è che la constatazione di una verità ch'egli ritiene assoluta. O, almeno, posso dire sia questo il messaggio che ha raggiunto il senso di profonda razionalità che ormai chiaramente mi appartiene.
Del significato è stato disquisito in abbondanza nel parametro ad esso dedicato, trovo perciò utile evitare di dilungarmi, segnalando semplicemente che un testo simile non può aspirare ad abbracciare chiunque; e sono certa che l'autore nemmeno abbia scritto l'opera per ricevere feedback non sentiti né sinceramente scritti con consapevolezza. Ritengo che EmperorOfDisaster abbia consciamente scelto di rivolgersi al lettore dalla medio-alta capacità di aprire gli occhi. Gli stolti non sono ammessi, nemmeno potrebbero intendere ogni singola sfumatura... potrei inserirmi in tal ultimo gruppo, poiché non credo di essere riuscita a cogliere appieno  il senso del tutto che egli ha voluto comunicare, ma so che il potere della poesia è anche questo: regala spunti continuamente, nonostante si creda di averli analizzati tutti.

- Presenza di emotività 10/10Ebbene se per "presenza di emotività" s'intende ogni qualsivoglia moto sensoriale, sia esso positivo o negativo, non posso assolutamente negare che l'opera ne susciti; fosse anche di indifferenza, ribrezzo, aquiescenza o anche semplice induzione alla riflessione, esso c'è. Non possiede connotazioni indubbiamente positive, ma di certo ha potere di suscitare qualcosa nel lettore. E di qualunque cosa si tratti, lo scopo ultimo è raggiunto.

- L'autore nel testo 8/10Ho rilevato amarezza. La sensazione più viva derivante dal pensiero dell'autore. Il mio è un approccio amatoriale, certamente non completo, che non renderà giustizia a ciò che sinceramente ha voluto comunicare il poeta attraverso i suoi versi.
Tuttavia sono un essere senziente e in quanto tale provvisto di una piccola spugna ad assorbire l'altrui emotività (almeno ci si prova). Ho letto un autore consapevole, caparbio nella strenua lotta al silenzio, perché è la stasi la peggior nemica dell'Arte. E quindi urlare, attraverso concetti e vocaboli forti, scelti, vivi; urlare con educazione, con garbo e rabbia. Una reale e onesta contraddizione nei termini che però raggiunge il suo ultimo scopo.

4) CONTESTUALIZZAZIONE 8/10
 
- Contestualizzazione e filo logico della raccolta
Essere chiamati a immergersi nella poesia, vuol dire di fatto violentare il vero pensiero che l'autore vorrebbe comunicare. Dare una nuova interpretazione di ciò che la propria personalità, il proprio vissuto e il carattere abbiano colto dalla lettura. Il risultato potrà soltanto tendere alla similitudine, mai all'uguaglianza dell'intento del poeta. La poesia non è che espressione sincera del suo animo, e contiene in sé non solo tutte le sfaccettature del suo essere, ma anche la realtà che egli ci presenta attraverso la sua propria lente d'ingrandimento.
L'inesorabile cammino vorso il caos è estremamente visibile, ma ciò che maggiormente mi ha colpito è la constatazione di nuda realtà. Descrizione della stessa attraverso le lenti distorte (o forse accorte) della personalità di chi le ha scritte. La medesima realtà per cui taluno godrebbe e talaltro soccomberebbe. Il punto di vista poetico è speculazione e filosofia: volontà di disquisire fine a se stessa, volontà di raccogliere uno spunto grazie al quale far fiorire un pensiero. La scelta è sempre personale e ciò cui mira la poesia è la sua non imposizione. Ognuno rileva e vede ciò che più si confà alla propria personale predisposizione.
Io però sono chiamata a rilevare se ogni poesia letta possa avere un motivo di esistere in questa raccolta e se l'opera valutata sia contestualizzata. Sento di rispondere che sì, il filo logico persiste ed è ben chiaro anche all'occhio che non vede, così come contestualizzata è "Siamo l'Arte all'alba del suicidio.", proprio lì dove è stata collocata: a introduzione dell'intera raccolta.
A tal proposito e perché inviatami dall'autore contestualmente alle risposte della sua intervista, inserisco di seguito la sua "Introduzione prosaica", opera di apertura della raccolta, che mi auguro sia utile a una maggiore comprensione del pensiero del poeta.

Incedere dissestato verso la distopia.
Introduzione prosaica.
È tutto una grande catabasi cristiana: paradosso liquido che fende, offende e ci difende.
Noi non siamo né cantori di anarchie né despoti in decadenza: siamo l'eco carnale dell'Es, il batiscafo che annega nei recessi della mente, il parto primitivo della miseria.
Non siamo artisti, bensì tumori dell'Arte stessa: scriviamo per tentare di stare meglio e, inevitabilmente, stiamo peggio, innervati di caos lisergico e di fobie anemiche sessualizzate fino all'eccesso.
Forse non siamo nulla se non lo spettro intarsiato di maledettismo di una ricerca sconquassata. Deturpamento purificatore della realtà, solipsismo psichico, avulsione paradossale dal vero: ripetizioni verbose, aggettivazione parossistica, pesantezza abulica.
Ciò che è certo è che siamo un incedere dissestato verso la distopia: distruggerci è l'unico modo che conosciamo per costruire una speranza.

5) COMMENTO PERSONALE 15/20
 
Il mio voto è 7 e mezzo.
Verità vuole che io dica quanto questo lavoro mi abbia impegnata (più di quanto avrei mai immaginato). La piccola mente brillante di EmperorOfDisaster ha messo a dura prova emozioni, raziocinio, stomaco, polmoni, olfatto e tutto quanto io avessi di vivo. E mi ha indotto a studiare, riflettere, pensare, capire, chiedermi, dubitare... per giorni. Credo sia stata questa la dote maggiore, anche perché i testi non coinvolgono emotivamente di primo acchito (a parte alcuni davvero impattanti anche alla primissima lettura, che all'ultimo verso hanno avuto il potere di lasciarmi senza fiato).
Il poeta si rende mezzo; è sempre stato così, e così sarà sempre. Indossare gli "occhiali" di quel determinato autore significa anche mettere da parte se stessi in un certo qual modo, dimenticare chi siamo e chi siamo stati per permettere alle parole di scivolare fluide dentro di noi senza alcun giudizio alcuno. Ecco, solo in quel momento, poi, permettere alla nostra vera essenz di mescolarsi ai nuovi stimoli che abbiamo appreso e renderli nostri, ancora nuovi e diversi. Ma mai fermarsi prevenuti: bisogna tentare di mantenere costantemente aperta la mente, così da vedere ciò che forse non siamo stati in grado di fare.
Questo autore mi ha spinto a mettermi da parte, a dimenticare le conoscenze pregresse che hanno contribuito a rendermi questa specifica persona, e guardare con occhi incorrotti alla sua realtà. Realtà che immediatamente è divenuta anche la mia e si è quindi fusa con la prepotenza del mio essere. È qui che accade la magia: quando il prodotto del pensiero di un poeta, tradotto in versi, incontra la volontà di chi è pronto a leggere con accoglimento; da un tale accordo origina un nuovo pensiero, una nuova riflessione, un nuovo modo di vedere le cose.
Trovo EmperorOfDisaster talentuoso e di profonda condivisione, e per lui posso solo immaginare una costante evoluzione emotiva, riflessiva, poetica tradotta nei suoi scritti e tendente a quell'Arte che un po' troppo è andata perduta.

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